Via de’ Cimatori angolo Via de’ Cerchi

I tabernacoli di Firenze

IL TABERNACOLO

Tabernacolo

All’angolo tra via de’ Cimatori e via de’ Cerchi, proprio dove si incrociano due delle vie più antiche del centro storico, si trova un tabernacolo che sembra raccontare secoli di vita fiorentina. È un’edicola elegante, con arco a tutto sesto, tettoia a due spioventi e beccatelli in pietra serena, che custodisce al suo interno un affresco delicato e intenso di Alessandro Gherardini, realizzato alla fine del Seicento.

Affresco

La scena raffigura san Filippo Neri, vestito con abiti liturgici, mentre affida alla Madonna col Bambino un gruppo di giovani monellini — i ragazzi poveri e abbandonati che in questo stesso quartiere trovavano rifugio e speranza. I fanciulli, con le mani giunte e lo sguardo rivolto verso l’alto, pregano la Vergine seduta su un nimbo di nuvole, che stringe Gesù Bambino al petto. Attorno a loro, un angelo custode e due cherubini illuminano la scena con leggerezza. Se ti fermi un attimo a guardare, noterai ancora il braccio della lanterna in ferro battuto, che un tempo proiettava la sua luce sul tabernacolo e sull’incrocio, come a custodire questo piccolo angolo di devozione e memoria.

LA STRADA e LA ZONA

tra via de’ Cimatori e via de’ Cerchi

Sei nel cuore pulsante della Firenze medievale, a pochi passi da Palazzo Vecchio e dal cosiddetto Canto alla Quarquonia, un luogo dove ogni pietra sembra parlare di storia. Qui sorgeva un tempo un palazzo turrito appartenuto alla famiglia Cerchi Bianchi, protagonisti delle antiche contese tra Guelfi e Ghibellini. Proprio di fronte si trovava la Loggia dei Cerchi, poi murata, che testimoniava la grandezza e l’influenza di questa casata. Dopo la loro sconfitta e la confisca dei beni, l’edificio passò di mano in mano fino a giungere, nel 1454, ai Giugni, famiglia nobile e potente della Firenze rinascimentale. Passeggiando tra queste vie strette e ombrose, ancora oggi si avverte l’anima autentica del quartiere: un intreccio di storia, fede e vita quotidiana, dove le tracce del passato si fondono naturalmente con il respiro della città viva.

L'AUTORE

Alessandro Gherardini

L’affresco che osservi è opera di Alessandro Gherardini (1655-1726), pittore fiorentino raffinato e sensibile, capace di unire la teatralità del barocco alla grazia e alla spiritualità della tradizione locale. Nelle sue figure si percepisce una tensione emotiva lieve, fatta di luce, gesti misurati e sguardi che parlano. Nel tabernacolo dei Cimatori-Cerchi, Gherardini trasforma la carità in pittura: san Filippo Neri diventa l’intercessore affettuoso dei piccoli, la Madonna il simbolo della protezione materna, e i monellini rappresentano l’innocenza che chiede salvezza. L’armonia dei colori e la dolcezza delle espressioni creano una scena intima, quasi familiare, che invita chi la osserva a fermarsi un momento e a riflettere sul valore della misericordia.

CURIOSITA'

Piccola edicola, grande storia: il tabernacolo dei ‘monellini’

Questo tabernacolo ricorda la storia della Pia Casa di Rifugio dei poveri fanciulli, conosciuta dai fiorentini come la Quarquonia. Qui, nel XVII secolo, don Filippo Franci fondò un luogo di accoglienza per i monellini — bambini orfani o abbandonati — dove potevano ricevere cure, educazione e imparare un mestiere. Lo stesso don Franci curava i ragazzi colpiti da malattie cutanee con una pomata da lui ideata, e riservava spazi di correzione ai più indisciplinati, per evitare loro la prigione e preservarne l’onore. L’insegna della casa era una lupa che lecca i suoi cuccioli, accompagnata dal motto “Lambendo figurat”, cioè “leccandoli li accudisce”: un’immagine tenera e potente della carità cristiana. Nel 1786 la Pia Casa fu soppressa, ma l’edificio continuò a essere un luogo di comunità e incontro: divenne il Teatro della Quarquonia, dove nacque la maschera di Stenterello, simbolo dell’ingegno e dello spirito fiorentino. Nei secoli successivi cambiò più volte nome — Teatro del Giglio, Teatro Leopoldo, Teatro Nazionale — fino a diventare nel Novecento il Cinema Teatro Nazionale. Così, da luogo di cura a spazio di spettacolo, questo angolo di Firenze ha continuato a raccontare, in forme diverse, la vitalità e l’umanità della città.

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Scheda: Lorenzo Manzani

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